“Il punto geometrico è una entità invisibile. Deve quindi essere definito come una entità immateriale. Pensato materialmente, il punto geometrico equivale a uno zero. Ma in questo zero si nascondono diverse proprietà, che sono “umane”. Noi ci rappresentiamo questo zero – il punto geometrico – come associato con la massima condizione, cioè con un estremo riserbo, che però parla. In questo modo, nella nostra rappresentazione, il punto geometrico è più alto e assolutamente l’unico legame tra silenzio e parola.
E perciò il punto geometrico ha trovato la sua forma materiale, in primo luogo, nella scrittura – esso appartiene al linguaggio e significa silenzio.
Nello scorrere del discorso, il punto è il simbolo dell’interruzione, del non essere (elemento negativo), e, allo stesso tempo, esso è un ponte da un essere a un altro essere (elemento positivo). Questo è il suo significato interno nella scrittura.
Visto dall’esterno si tratta solo di un segno usato funzionalmente, che porta in sé l’elemento del “pratico-funzionale”, che noi conosciamo fin da bambini. Il segno esterno diventa un’abitudine che vela il suono interno del simbolo. L’interno viene murato dall’esterno.”
(Vassily Kandinsky, Punto Linea Superficie, Adelphi, 1968, p.17-18)
(originale tedesco pubblicato nel 1926 )
“Un secondo elemento viene a infrangere o a scandire lo studium. Questa volta non sono io che vado in cerca di lui (dato che investo della mia superiore coscienza il campo dello studium) , ma è lui che partendo dalla scena, come una freccia mi trafigge. In latino, per designare questa ferita, questa puntura, questo segno provocato da uno strumento aguzzo, esiste una parola; tale parola farebbe ancora meglio al caso mio in quanto rinvia all’idea di punteggiatura e in quanto le foto di cui parlo sono in effetti come punteggiate, talora addirittura maculate, di questi punti sensibili ; quei segni, quelle ferite sono effettivamente dei punti. Chiameremo questo secondo elemento che viene a disturbare lo studium, punctum; infatti punctum è anche: puntura, piccolo buco, macchiolina, piccolo taglio – e anche impresa aleatoria. Il punctum di una fotografia è quella fatalità che, in essa mi punge (ma anche mi ferisce, mi ghermisce).
(Roland Barthes, La Camera Chiara, Note sulla fotografia, 1980, p. 28)